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Emofilia, con i nuovi farmaci meno infusioni e un risparmio per il sistema sanitario

Per l’emofilia B il risparmio nel dosaggio può arrivare al 50%
Dott.ssa Cristina Santoro (Policlinico Umberto I): “Queste terapie innovative sono in grado di ridurre i sanguinamenti e l’artropatia correlata, con un numero di infusioni inferiore rispetto ai farmaci tradizionali”

L’Emofilia è una malattia rara, di origine genetica, che comporta difficoltà nella coagulazione del sangue per la carenza di alcuni fattori; se manca il Fattore Otto si ha l’Emofilia A, se manca il Fattore Nove si parla di Emofilia B, la forma più rara. Le persone emofiliche vanno incontro, fin dalla nascita, ad episodi di sanguinamento, soprattutto a carico delle articolazioni, con manifestazioni molto dolorose e danni a lungo termine (emartro). Oggi però le peggiori conseguenze possono essere prevenute attraverso farmaci che suppliscono alla carenza del fattore di coagulazione attuando una profilassi dei sanguinamenti. L’offerta di questi farmaci per l'Emofilia A e B è sempre più ampia e i vantaggi connessi a queste terapie innovative riguardano sia i pazienti che il sistema sanitario. Ai primi le nuove terapie, in particolare i prodotti ad emivita prolungata, migliorano la qualità di vita, riducendo i sanguinamenti, l'artropatia correlata e anche il numero di infusioni necessarie: ad oggi tutte le terapie vengono infatti somministrate per via endovenosa. Per il sistema sanitario, invece, l’utilizzo dei più nuovi farmaci può tradursi in un risparmio legato alla riduzione del dosaggio necessario ad ottenere una protezione ottimale, dato dimostrato da un recente studio canadese (Keepanasseril et al.), pubblicato sulla rivista Haemophilia. Lo studio che ha raccolto tutta una serie di dati dettagliati, riguardanti 139 pazienti con emofilia A e B che, nel mese di febbraio 2016, hanno scelto di modificare la propria terapia passando ai prodotti a emivita prolungata.

Tutti i pazienti, nel 93% dei casi affetti da una forma di emofilia grave, sono stati istruiti sui prodotti disponibili, affinché potessero prendere una decisione consapevole. Quelle relative ai bambini con meno di 12 anni sono state prese in gran parte dai genitori, mentre i ragazzi più grandi sono stati progressivamente coinvolti: la scelta, per il 79% dei pazienti, è ricaduta su Elocta (Fattore VIII), mentre il 22% è passato ad Alprolix (Fattore IX).

Dal confronto dei dati di utilizzo, rilevati nei 6 mesi precedenti il cambio di terapia (switch) e negli 8 mesi successivi, è emerso un risparmio nel dosaggio che va dal 19% con Elocta nell'emofilia A, fino al 50% con Alprolix nell'emofilia B.

Con l’arrivo e la diffusione di questi prodotti anche in Italia, il beneficio per il sistema sanitario potrebbe essere davvero rilevante, considerato che secondo i dati del Rapporto OsMed 2016, i farmaci del sangue e degli organi emopoietici rappresentano la quinta categoria terapeutica a maggior spesa pubblica, pari a quasi 2 miliardi di euro (32,9 euro pro capite). Anche per quanto riguarda le voci di spesa per i farmaci erogati dalle strutture pubbliche, i Fattori della coagulazione del sangue occupano la quinta posizione, con una dose definita giornaliera (DDD) che cresce del 14,83%.

Oltre al risparmio per il sistema sanitario, è emerso un ulteriore beneficio dei prodotti a emivita prolungata: la possibilità per i pazienti – in accordo con il medico – di ridurre il numero di infusioni settimanali. Le iniezioni ripetute, infatti, sono gravose per i pazienti: è questo uno dei principali motivi di un'aderenza non ottimale, un fatto che probabilmente porta a esiti clinici più scarsi (come hanno dimostrato gli studi di Berntorp nel 2009 e di Schrijvers et al. nel 2013).

“Queste terapie innovative sono in grado di ridurre i sanguinamenti e l’artropatia correlata, con un numero di infusioni inferiore rispetto ai farmaci tradizionali”, ha spiegato a O.Ma.R. – Osservatorio Malattie Rare la dr.ssa Cristina Santoro, del Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia del Policlinico Umberto I – Sapienza Università di Roma. “Ciò ha un enorme impatto sulla qualità di vita dei pazienti: la riduzione delle infusioni è più evidente per i concentrati a lunga emivita di fattore IX, che permettono di passare da due a una sola infusione settimanale per i bambini, e addirittura a una ogni due settimane per gli adulti, ma anche con i concentrati di fattore VIII è possibile scendere da tre a due infusioni la settimana”, sottolinea l'ematologa.

È dunque possibile che la diffusione di queste terapie possa portare ad un miglioramento anche in termini di compliance, con un conseguente guadagno in termini di salute e qualità di vita dei pazienti. Un team di ricercatori inglesi ha affrontato questo tema in un poster (O'Hara et al., P088) presentato al congresso annuale della European Association for Haemophilia and Allied Disorders (EAHAD).

Gli studiosi hanno rilevato che su 708 pazienti trattati in regime di profilassi, 254 (il 36%) avevano una bassa o moderata aderenza. Perché? I medici hanno riportato fino a tre motivazioni: la più frequentemente citata (il 94%) era “non ama le iniezioni”, seguita da “ha difficoltà a comprendere il regime di trattamento” (l'80%), “non crede che il farmaco sia necessario” (il 60%) e “dimenticanza” (il 58%). La qualità di vita è risultata migliore nei pazienti con livelli di aderenza più elevati: in questi ultimi anche gli episodi di sanguinamento erano più rari.

Se quindi il rapporto fra compliance e qualità di vita è di causa-effetto, è probabile che più di un terzo dei pazienti con emofilia viva con una peggiore qualità di vita rispetto a quelli completamente aderenti: una condizione che si potrebbe facilmente evitare.